HOME Chi siamo Dove siamo Grafica e libri Cooperazione Corsi ABC Junior Lavora con noi
Cultura
28 nuove pietre d’inciampo a Milano
Il 15 e il 17 gennaio l'iniziativa per ricordare le vittime della deportazione del nazifascismo
Federico Russo | 17 gennaio 2020

Tutto è iniziato nel 2017 posando le prime sei pietre. Ora, con le ultime 28 posate in questi giorni, si è arrivati a 90. Si chiamano “Pietre d’inciampo” e servono a ricordare chi è morto deportato nei campi di concentramento nazisti. Consistono in un piccolo blocco di pietra ricoperto da una piastra di ottone con incisi il nome e le date della vittima, da sistemare proprio dinanzi alla sua ultima abitazione, facendo in modo che il passante sia costretto a “inciampare” su quella storia. E, più in generale, sulla necessità di conservare la memoria di ciò che è stato.
Create nel 1992 dall’artista tedesco Gunter Demnig, oggi in Europa se ne contano oltre 75mila in 26 Paesi.  A Milano, grazie al “Comitato per le Pietre d’Inciampo” nato cinque anni fa, ogni anno a gennaio ne vengono aggiunte di nuove. È lo stesso Demnig a curarne la realizzazione, e a presenziare alla loro posa. Quest’anno la cerimonia si è svolta in due giorni, il 15 e il 17 gennaio.  28 pietre in 21 luoghi della città, 28 momenti di coinvolgimento per familiari delle vittime, scolaresche  e semplici residenti della zona. A ogni posa hanno presenziato Marco Steiner, presidente del Comitato, e Lamberto Bertolé, presidente del Consiglio Comunale che all’iniziativa ha dato adesione formale e assistenza logistica.  
Ogni vittima della deportazione porta con sé una storia diversa, spesso difficile da ricostruire partendo dalle scarne informazioni ricavate. Storie come quelle di Giovanni Dolfi, ricordato in via Principe Eugenio, impiegato alla Innocenti di Lambrate e protagonista degli scioperi del marzo ’44 che portarono al suo arresto prima e alla sua deportazione poi. A Dolfi il destino aveva concesso un’imprevista via di fuga: il suo nome quando le SS entrarono nel suo stabilimento venne letto in modo sbagliato, ma fu lui a correggere l’errore per evitare che venisse coinvolto un altro operaio. “Non esiste il destino – ha commentato Bertolé – esistono le scelte che facciamo. Vicende come questa ti costringono a confrontarti con un interrogativo: io cosa avrei fatto?”.
Altre storie come quella di Davide Pedretti, celebrato in via Barnaba Oriani. Partigiano della Brigata Garibaldi come Dolfi, Pedretti venne arrestato due giorni prima del Natale del ’44 assieme ai suoi familiari. Loro saranno rilasciati, lui troverà la morte a Gusen il giorno prima della liberazione del campo.
“Si poteva essere deportati – ci spiega Steiner – per vari motivi: religione, razza, idee politiche, orientamenti sessuali. Per questo nel comitato convivono associazioni di diverse provenienza, da quelle legate alla memoria della Resistenza come ANPI a quelle legate alla tragedia della Shoah”.
Anche in Italia si riscontra questa diversità di persecuzioni. “Certo. Infatti – prosegue il presidente del Comitato Pietre d’Inciampo – le 90 pietre che abbiamo posato si suddividono in modo preciso: 45 riguardano deportati per motivi razziali, 45 per motivi politici. Abbiamo fatto questo non per 'pesare i morti', ma semplicemente per tenere conto della realtà”.
Presenza costante, in tutte le cerimonie a cui abbiamo potuto assistere, quella delle scolaresche. “L’ANPI di zona ci ha informato, noi abbiamo coinvolto i ragazzi parlando loro di Pedretti per prepararli all’evento di stamattina”, ci dice Rossella Viaconzi, vicepreside dell’Istituto Comprensivo “Via Pareto”, presente con gli alunni di due classi di prima media. L’importanza della sensibilizzazione verso i più giovani ci viene confermata da un’altra scolaresca, quella dell’Istituto Giancarlo Puecher (partigiano condannato a morte, e figlio di Giorgio Puecher, morto a Mathausen e destinatario di una delle 28 nuove pietre). Gli alunni di questo istituto al termine della cerimonia dedicata a Pedretti si sono cimentati in un’esibizione corale, iniziata con “Bella ciao” e terminata con l’inno nazionale. “Crediamo nella comunicazione musicale – spiega la preside Anna Teresa Ferri – come strumento di crescita. Abbiamo tanti bambini stranieri, per loro cantare 'Fratelli d’Italia' è una cosa assolutamente naturale”.  Piccoli aneddoti che confermano come la memoria non sia solo custodia del passato, ma anche ponte verso il futuro.

Commenti