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Cultura
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Foto di gruppo per l'Alleanza delle Cooperative
Intervistiamo a "Book Pride" Roberto Calari, presidente di Alleanza delle Cooperative Comunicazione
"Cultura: il valore aggiunto è la partecipazione dal basso"
Federico Russo | 17 marzo 2019

Cooperazione vs concentrazione: che cosa fa l’Alleanza delle Cooperative per l’Editoria?” è il tema che è stato affrontato venerdì 15 marzo all’interno di Book Pride, la Fiera Nazionale dell’Editoria Indipendente in programma dal 15 al 17 marzo presso la Fabbrica del Vapore di Milano. L’Alleanza delle Cooperative Italiane, partner della manifestazione, è un soggetto che conta quasi  100mila soci e 2mila cooperative nei settori comunicazioni, turismo e beni culturali. Roberto Calari, presidente di Alleanza delle Cooperative Comunicazione, ha tenuto il dibattito insieme a Irene Bongiovanni, presidente di Confcooperative cultura, turismo e sport, e a Carlo Scarzanella, presidente di Agci Culturalia.
All’interno di Book Pride è previsto un secondo momento di riflessione dell’Alleanza delle Cooperative, dedicato alle buone pratiche da mettere in relazione, per domenica 17 marzo. Noi, intanto, abbiamo posto alcune domande a Roberto Calari.  

Quali azioni concrete sta mettendo in atto l’Alleanza delle Cooperative Italiane per promuovere la lettura e il libro di qualità?
“Stiamo lavorando per presentare al Salone del Libro di Torino (9-13 maggio) un manifesto di intenti per la promozione della lettura e della cultura. È un processo da costruire dal basso partendo  dalle tantissime buone pratiche che le cooperative stanno portando avanti da anni, in tutte le realtà. Voglio ricordare che già le prime cooperative, alla fine dell’800, avevano la libreria al proprio interno. Parliamo quindi di un’educazione alla cultura che è rimasta nel dna. Oggi abbiamo tante realtà nel territorio, e sono realtà partecipate, nascono da logiche di dialogo col territorio e la società. Partendo da questo oggi vorremmo arrivare a proporre un patto.  Un lavoro comune che nasca dalla consapevolezza dei dati che indicano quanto sia scarsa la lettura in Italia.
Dal lato dell’offerta, stiamo lavorando per dare sempre più strumenti e consulenza a tutti quei soggetti, non solo cooperative ma anche editori piccoli e indipendenti, che da soli non ce la fanno. Cooperare è fondamentale di fronte alla concentrazione di mezzi in poche mani a cui stiamo assistendo. Il nostro differenziale è il bene comune, l’idea della partecipazione. È questo il valore aggiunto che rende legittimo anche il sostegno pubblico”.

Quanto è importante l’utilizzo di nuove tecnologie, piattaforme digitali e marketing digitale nella promozione della lettura?
“Bisogna far sì che le tecnologie siano elemento di trasformazione sociale, altrimenti il rischio è che siano solo un fattore di eliminazione del lavoro e dei suoi diritti. Il consumo di libri e giornali ha alla sua base anche elementi di natura relazionale, emotiva, che vanno salvaguardati.
Certo, è utile che le nuove tecnologie favoriscano interazioni diverse e velocizzino molti processi. È utile anche a noi. Ma la nostra ottica è guardare alle persone, non solo agli aspetti economici. Penso ad esempio al concetto di proprietà collettiva che è al centro di molte piattaforme cooperative: condividere i processi produttivi che si mettono in moto. Mentre le piattaforme più forti anche quando si definiscono “sociali” seguono solo un profitto privato”.

Quali energie si possono infondere nei rapporti tra enti locali, industrie culturali ed editoria?
“Ci sono già legislazioni che già considerano il sostegno alle forme di produzione editoriale. Leggi regionali che si pongono il problema di sostenere questo tessuto di editoria locale. Ovviamente non è molto, perché il potere delle regioni è limitato, ma intanto il tema è stato colto. E poi c’è un’importante linea di tendenza europea che nasce dalle riflessioni dell’ “Osservatorio sull’informazione dell’Unione Europea”: quello che emerge è che c’è carenza di pluralismo e produzione di informazione indipendente. Da qui l’indicazione a sostenere le “reti di qualità”, che valorizzino ad esempio il giornalismo di inchiesta. 
Poi c’è la parte “quantitativa”: le realtà di questo settore sono imprese, danno lavoro, per cui nuovi bilanci europei puntano a rafforzarle come si rafforzerebbe qualsiasi sistema di pmi. Cito per ultimi i comuni: esperienze come le biblioteche di comunità stanno portando la cultura dentro il grande tema dei “beni comuni”.

Quanto è importante il finanziamento della cultura?
“È importante che si riconosca l’indipendenza della produzione culturale. Anche qui ci sono normative europee che partono dal riconoscimento di un diritto. L’intervento correttivo dello Stato serve a sostenere ricerca e indipendenza, a  non dipendere solo dal mercato. Vale per tutti i settori, editoria come cinema, musica come teatro. Ovviamente in tempi di crisi queste risorse vanno riducendosi, ma ricordo ancora che parliamo di settori titolari di politiche industriali, quindi meritevoli di attenzioni non solo per motivi culturali.  Questo molte regioni lo stanno riconoscendo".

Nel campo dell’editoria sono già individuabili quelle che possono essere considerate le nuove professioni, frutto dei cambiamenti tecnologici?
“Tema molto attuale. Le “nuove professioni” sono spesso usate per creare forme di lavoro non tutelate da contratto. Noi stiamo lavorando con le maggiori sigle sindacali per un rinnovo del CCNL di cooperative e imprese sociali in modo che le “nuove” competenze siano riconosciute e vedano riconosciuti dei minimi salariali.
Importante il fenomeno del “cooperativismo di piattaforma” di cui parleremo a Torino. È un modello di proprietà condivisa che si sta sviluppando in molte parti del mondo,  in Italia siamo alle prime esperienze. La scommessa è valorizzare gli apporti intellettuali perché è da lì, dalla conoscenza, che verranno i nuovi posti di lavoro. Lo confermano tutte le analisi. Dai saperi verrà la differenza competitiva, non certo dal ribasso continuo dei prezzi e dei diritti”.

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