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Intervista a Laura Sansonna
Docente di Scienze Umane presso l’Istituto Pareto sullo studio alla pari del 17/10/2020
Federico Russo | 28 marzo 2021

Nell’educazione tra pari, in inglese peer education, una persona opportunamente formata (educatore paritario) intraprende attività formative con altre persone sue pari, cioè simili quanto a età, condizione lavorativa, genere sessuale, status, entroterra culturale o esperienze vissute.

Buongiorno professoressa, è lei che ha inventato questo metodo chiamato “peer to peer” di aiuto allo studio?

No, è un metodo che esiste dai tempi più antichi, già dalla fine dell’800, veniva chiamato “mutuo insegnamento”, oppure “educazione o aiuto tra pari” quando mancavano gli insegnanti e si dava a tutti la possibilità di studiare, anche a chi non ne aveva l’opportunità e i ragazzi più grandi istruivano i più piccoli. Gli studi in campo pedagogico hanno dimostrato che è molto efficace e che funziona molto bene e negli ultimi anni si è diffuso perché i ragazzi sono più attratti e affascinati e si sentono più coinvolti.

Gli studenti vengono aiutati singolarmente da un “educatore” oppure più studenti da più tutor?

Dipende. Se le risorse sono sufficienti, è possibile anche che ci sia un tutor per ogni ragazzo e così diventa quasi una lezione privata e personalizzata, altrimenti si formano dei gruppetti di due o tre persone.

Questi corsi hanno un costo?

No, assolutamente sono totalmente gratuiti. Si tratta di volontariato.

Coloro che aiutano i ragazzi più piccoli si offrono volontari oppure è la scuola a chiamarli?

Gli studenti si offrono volontari e per due pomeriggi la settimana, per 2 ore, fanno da tutor agli studenti che ne hanno bisogno. Nella nostra scuola, l’Istituto Pareto, abbiamo un progetto chiamato “Progetto volontariato”, che si occupa di proporre diverse attività agli studenti, non solo nella scuola ma anche al di fuori. I nostri piani di lavoro riguardano, tra gli altri, l’aiuto agli anziani, oppure la creazione di laboratori all’interno di associazioni, o il volontariato in corsia di ospedale. I nostri studenti scelgono liberamente innanzitutto se vogliono aderire, di cosa occuparsi e per quanto tempo farlo. Un insegnate si ferma con loro cercando di aiutarli a organizzarsi spiegando cosa fare e incoraggiandoli un po’.

Per quali materie si fanno generalmente i ripassi?

Il progetto di studio, quello che possiamo definire un “doposcuola”, ha la funzione di aiutare i ragazzi del biennio che hanno difficoltà in alcune materie. Di solito le discipline più richieste sono la matematica, l’inglese, il latino, materie in cui c’è più da capire e applicare delle regole, piuttosto che materie teoriche, ma a volte viene richiesto semplicemente di studiare insieme. Abbiamo anche degli stranieri che faticano con la lingua italiana e il peer tutoring si fa anche con loro.

Esistono vari progetti nelle scuole, come per esempio “Educazione alla salute”, dove si parla nelle classi di prevenzione dell’alcoolismo, della tossicodipendenza e di sessualità, che viene gestito in collaborazione con una equipe che prevede la presenza di uno psicologo. Un gruppetto di ragazzi “educatori”, in genere del triennio delle superiori, viene formato sugli argomenti da trattare e su come affrontarli nelle aule.

Durante l’emergenza sanitaria di Coronavirus i recuperi continueranno?

Se le norme ce lo consentiranno, abbiamo in programma di continuare anche in questo momento un po’ anomalo e difficoltoso a livello sanitario, altrimenti lavoreremo anche a distanza, se non si potrà farlo in presenza.

Quali aspetti negativi e quali positivi emergono con questo tipo di insegnamento?

Tra gli aspetti positivi notiamo che i ragazzi sono più motivati a lavorare con degli adolescenti poco più grandi di loro, c’è più sintonia, più motivazione perché li vedono come modelli, sono più vicini a loro come interessi, come modo di pensare, sentire e vedere il mondo. L’aspetto negativo potrebbe essere che il ragazzo tutor possa diventare complice con lo studente e possa perdere di vista un po’ l’obiettivo (la funzione di educatore) senza raggiungere risultati apprezzabili. Per questo motivo è prevista la supervisione di un insegnante, anche perché i ragazzi non possono rimanere all’interno della scuola da soli. Un’altra difficoltà potrebbe essere la differenza tra disponibilità e richiesta: le materie da recuperare non sempre coincidono con le materie punto di forza del tutor.

Questo metodo è molto praticato nelle scuole superiori?

Sì, si sta sempre più diffondendo. Diverse scuole svolgono l’attività di peer tutoring, ma anche per altri progetti come quello di cittadinanza e Costituzione o quello rivolto agli stranieri.

Gaia Alice Ronconi (12 anni)

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