Marino Maglietta, prestato da anni al diritto dalla Fisica, è presidente dell’associazione nazionale ‘Crescere Insieme’, fondata a Firenze nel 1993, ma soprattutto è l’ideatore e il promotore dell’attuale legge, a suo tempo tanto attesa, dell’affido condiviso (L. 54/2006). L’affido condiviso dei figli di genitori separati rappresentò un’evoluzione epocale rispetto all’affido esclusivo. L’impatto innovativo della legge era dato dal fatto che i figli avessero per la prima volta verso i genitori, ugualmente responsabili, pari diritti di ricevere educazione e cura e pari opportunità di contatto. Gli rivolgiamo, perciò, alcune domande.
Partiamo dall’attualità. In questo periodo in cui si invita a “restare a casa”, molti genitori separati collocatari si sono rifiutati di far spostare i figli presso l’altro nei giorni previsti. Hanno ragione?
Al di là delle chiarissime norme generali (per cambiare un provvedimento del giudice ci vuole un altro provvedimento o una nuova legge, non una valutazione individuale), è evidente anche praticamente che questi rifiuti non hanno alcuna giustificazione: al di sotto dei trent’anni (non dei dieci o quindici) non è morto nessuno. Quindi è solo una scusa, che potrebbe fare molto danno proprio ai figli, privandoli di un genitore per tempi imprevedibili ma sicuramente molto lunghi. Comunque mi colpisce il suo uso “tranquillo” di termini fuori legge come genitore collocatario.
Era una consapevole provocazione. Sappiamo che uno degli aspetti di maggiore divergenza nell’applicazione dell’affidamento condiviso riguarda i modelli di frequentazione, a genitore prevalente oppure paritetico. Può chiarire il punto?
È proprio questo l’aspetto centrale del dibattito attorno alla riforma del 2006, che ha portato a una serie di proposte di legge, “restauratrici” rispetto ad una applicazione deviata, praticamente in ogni legislatura. Creare uno squilibrio tra i genitori, uno dei quali si occupa pressoché esclusivamente dei figli provvedendo ai loro bisogni con il denaro che l’altro gli fornisce, significa mantenere in piedi il vecchio modello esclusivo, che penalizza i figli non solo perché li priva di un loro diritto indisponibile e del contributo educativo e affettivo di uno dei genitori, ma perché, essendo fonte di conflitto fra i genitori, mantiene in piedi la più alta causa di sofferenza che ad essi perviene per effetto della separazione. Non era ciò che il legislatore si era proposto, non è ciò che la legge prescrive: è in sostanza, un abuso di potere.
Lei, dunque, sottolinea che si sbaglia anche nella modalità della contribuzione economica. Vuole chiarire questo punto?
Non intendo, ovviamente, esprimermi sulle frequentissime iniquità, a vantaggio ora dell’uno ora dell’altro genitore, del mantenimento mediante assegno. Il problema è molto più di forma che di misura. Sottolineo, invece, che la forma indiretta priva i figli della gioia di vedersi seguiti e tutelati da entrambi i genitori, di constatare che ognuno di essi si preoccupa dei loro bisogni, della possibilità di vivere con ognuno di essi momenti di scelta. Manca, infatti, con il sistema dell’assegno, la partecipazione alla quotidianità. Uno dei genitori è costretto a delegare all’altro anche lo svolgimento del ruolo che gli compete e purtroppo dopo un certo tempo quel genitore scompare totalmente dalla vita dei figli -a seguito di una assenza incolpevole- che si ritrovano orfani di un genitore vivente.
Questo tipo di applicazione dell’affidamento condiviso si riflette dannosamente anche su altri aspetti?
Indubbiamente sì. Basti pensare che la mediazione familiare ha come indispensabile prerequisito per godere di apprezzabili probabilità di successo proprio le pari opportunità tra le parti. Squilibrare il sistema significa anche impoverire paurosamente le potenzialità dei percorsi di mediazione familiare. È evidente, infatti, che la soluzione sbilanciata che, secondo una prassi consolidata -dimostrata dai prestampati distribuiti nelle cancellerie- uscirebbe certamente dalla decisione del giudice e che rappresenta l’esatto opposto dell’esito di un percorso di mediazione, espone le parti alla tentazione di accaparrarsi una posizione di vantaggio. Ovvero tiene in piedi il perverso meccanismo vinci/perdi che alimenta il conflitto e disincentiva ogni forma di accordo stragiudiziale.
Cosa pensa del decalogo dei diritti dei figli di genitori separati, che rappresenta il fiore all’occhiello dell’attività dell’attuale Garante Nazionale dell’Infanzia?
Il decalogo, certamente apprezzabile, ha una storia abbastanza curiosa. Molti degli aspetti che vi sono trattati si prestano a una doppia lettura. Ad esempio, i fautori dell’affidamento esclusivo hanno voluto vedere nel diritto dei figli alla stabilità il riconoscimento della validità dell’esistenza di un “genitore collocatario”. Questo perché danno al concetto di stabilità una valenza materiale, logistica. Tuttavia è anche più ragionevole dare ad essa il senso della conservazione del mondo degli affetti, che non deve essere turbato dalla rottura del legame di coppia. E qualcosa di analogo vale anche per vari altri punti; il che esalta, più correttamente, il diritto alla bigenitorialità. Quindi, bene che sia venuto, ma a patto di dargli una giusta lettura.
A suo parere il diritto e la scienza utilizzano la stessa logica?
È una domanda affascinante, che mi tocca anche di persona. Mi iscrissi alla Facoltà di Giurisprudenza perché intendevo che il diritto appartenesse all’insieme delle scienze. Scoprii che nella pratica non era così: nei processi contava il risultato, comunque ottenuto, anche a costo della verità. Allo stesso tempo, le corti di legittimità non facevano e non fanno uso del necessario rispetto dei ruoli e della coerenza, sia nel dare personalissime letture delle norme in funzione della propria ideologia -in ciò invadendo gli spazi del potere legislativo- sia cadendo disinvoltamente in contraddizione rispetto alle stesse proprie decisioni. Formatomi, quindi, nella Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, ho poi cercato di restituire al diritto quel dovuto rispetto del rigore logico che ne fa, come è giusto, una scienza.
La cosiddetta PAS (Sindrome di Alienazione Parentale) fruisce a suo parere di validi fondamenti o è “scienza spazzatura”?
Si tratta di una polemica ormai datata e sfruttata del tutto impropriamente. Esiste una corrente di opinione -ma per meglio dire si dovrebbe parlare di un gruppo ideologicamente connotato che ha interessi del tutto estranei alla scienza- che si sforza di speculare sulla infelice utilizzazione del termine medico “sindrome” per sostenere che, non potendosi parlare di malattia, non esiste nemmeno il fenomeno. A questo aggiungono che siccome il soggetto che l’ha per primo descritta era per altri motivi persona discutibile, questo dimostrerebbe la non validità della tesi. Ovvero, in sostanza confondono l’opera con l’autore. Penso invece innegabile che in caso di separazione quasi sempre ciascuno dei genitori si sforzi di far schierare il figlio dalla propria parte. A volte, purtroppo, l’operazione riesce talmente bene che si giunge al rifiuto di qualsiasi contatto anche con persone esenti da qualsiasi responsabilità. Insomma, abbandoniamo pure il termine sindrome ma la manipolazione esiste… eccome.